Biografia

Pedro González Rubio, nato a Bruxelles nel 1976, è nipote del cineasta messicano Servando González (1923-2008) che lascia una forte impronta sulla sua formazione. La sua famiglia viaggia molto, soggiornando in vari paesi, e Pedro inizia a interessarsi al cinema molto presto. Dopo aver studiato Scienze della Comunicazione in Messico e cinema alla London Film School, nel 2005 dirige con Carlos Armella il suo primo film, il documentario Toro Negro, con cui vince, tra gli altri, il Premio Horizontes al Festival Internazionale di San Sebastian e il Premio Coral per il miglior documentario al Festival del Cinema Latinoamericano dell'Avana. L'anno seguente lavora al making of di Babel, il film di Alejandro González Iñarritu.
Nel 2007 lavora alla fotografia del documentario Nacido sin diretto da Eva Norvind.
Nel 2009 Alamar segna una nuova fase del lavoro di Gonzalez-Rubio, che adotta ora un diverso linguaggio narrativo, delicato ed efficace, mescolando realtà e finzione.
Alamar vince premi in tutto il mondo in numerosi festival, tra cui il Festival Internazionale di Nara (Giappone): è grazie a questo premio che realizza il suo lavoro seguente, Inori (2012) con il quale vince il Pardo d’Oro al Festival di Locarno nella sezione Cineasti del Presente. Anche in questo film uomo e natura sono uniti dal filo del tempo che fa il suo corso. Nel 2014 dirige un film presentato a Visions du reel, Icaros. Attualmente sta lavorando a un nuovo film, Antigone.

Filmografia

2005 Toro Negro
2006 Direttore della fotografia per Nacido sin di Eva Norvind
2006 La Tierra Compartida, Making of di Babel, di Alejandro Gonzalez Iñarritu
2009 Alamar
2009 Flores en el desierto
2012 Inori
2014 Icaros

Intervista a Pedro González-Rubio

Come hai iniziato a interessarti ai temi del film?
Volevo esplorare la relazione d’amore tra un padre e un figlio e allo stesso tempo la relazione di armonia tra uomo e natura. Volevo raccontare una storia che evocasse il ritorno alle origini dell’umanità e addentrarmi tra le attività basilari della vita, con la pesca che è proprio una delle attività più ancestrali. Ho deciso di usare Banco Chinchorro per via dei suoi scenari minimali. Questa semplicità mi permetteva di focalizzare la mia attenzione sulle relazioni tra i personaggi.

Qual’è l’importanza dei luoghi in cui hai ambientato il tuo film? La presenza della barriera corallina non sembra solo uno sfondo per l'incontro tra Jorge e Natan ma un vero e proprio personaggio che entra in relazione con loro.
Fin dall’inizio volevo esplorare la fragilità delle cose belle che ci circondano. Scegliere di girare un film all’interno di un ambiente così delicato e farlo dal punto di vista di un bambino mi permetteva di costruire un'immagine molto potente. L'idea di scegliere la barriera mi è venuta perché mi ero accorto di quanto la costa caraibica del Messico avesse cominciato ad essere invasa dal turismo di massa, che distrugge ogni cosa sul suo cammino: dai modi di vita dei pescatori all’equilibrio dell’ecosistema. Tempo fa Playa del Carmen somigliava ai luoghi dove abbiamo girato Alamar, ma ormai le mangrovie sono scomparse. Al loro posto ci sono discoteche sul mare, bar e alberghi con tutte le tipiche comodità cittadine.

Che significato assume Banco Chinchorro in Alamar?
Ho vissuto sette anni a Playa del Carmen, sulla costa caraibica, dove avevo girato il mio primo film, Toro Negro, cinque anni fa. In quel lavoro avevo approfondito gli aspetti più intimi della vita del protagonista, un torero con una storia molto travagliata e difficile. Con Alamar invece volevo fare qualcosa di diverso, un film più solare, che potesse suggerire un possibile equilibrio, come tra lo Yin e lo Yang.
Alamar è di nuovo la storia di una famiglia, ma con una prospettiva diversa. Volevo girare una storia di amore puro e incondizionato. In un primo momento, avevo immaginato la vicenda di un uomo che avrebbe trascorso i suoi ultimi giorni nel luogo in cui era nato. Quando ho incontrato Jorge (padre), mi ha subito affascinato, ma mi son detto che era troppo giovane per interpretare la parte di un uomo alla fine della sua vita. Ben presto, però, ho capito perché volevo filmare in quel luogo preciso e con quel preciso personaggio: potevo raccontare una storia di amore per la natura e sulla natura che portiamo dentro di noi. E poi ho incontrato Natan, il figlio di Jorge. A quel punto ho capito che si trattava della possibilità di raccontare la vita che continua.

Il film sembra così reale che viene da chiedersi se ti sei ispirato ad una storia vera ...
No, perché in realtà Jorge è una guida turistica e non ha mai pescato l'aragosta. D’altra parte, nemmeno nel film pesca realmente le aragoste ... Questa è la magia del cinema! Ma allo stesso tempo, se si guarda da vicino, la linea narrativa è molto tenue e si concentra sulle piccole cose del quotidiano. Ho collocato i personaggi in situazione e poi hanno agito secondo il proprio carattere. Erano molto liberi.
Durante la traversata in battello fino all’isola, per esempio, Jorge e Natan stavano davvero male, come noi tutti, del resto.

Questa scelta di una finzione così vicina al documentario può essere un po’ destabilizzante per lo spettatore.
Lo è per lo spettatore che tiene le distanze. Ma se si lascia trasportare dalla storia non si chiede più nemmeno se si tratta di una finzione o un documentario. In realtà, preferirei fare a meno delle definizioni. D’altronde, il film è stato presentato in concorso al festival Cinéma du Réel come documentario e al Festival del Cinema di Parigi come finzione. La cosa migliore è vederlo semplicemente come un film, un’esperienza cinematografica.

Hai seguito una sceneggiatura? Avevi scritto i dialoghi?
Ho scritto un trattamento prima di andare a girare a Banco Chinchorro. In questo trattamento era presente il dolore del bambino causato dalla separazione da sua madre. Ma a poco a poco, con le attività quotidiane, il rapporto tra lui e suo padre è cresciuto sempre di più. Mi sono chiesto su quali altri temi a parte la separazione e il viaggio potessi focalizzarmi. Volevo filmare quella piccola palafitta. Dopo aver visto quel che Matraca e un altro pescatore facevano mi sono detto che dovevo filmare la parte subacquea della pesca all’aragosta. Ho quindi filmato sia la pesca in mare aperto che il ritorno in barca. Le scene più intime tra padre e figlio sono nate in questi momenti, quando mangiavano parte di quel che avevano pescato. I dialoghi e la trama si sono praticamente sviluppati in loco.

Come hai diretto gli attori?
La cosa più semplice è stata lavorare con Blanquita (l'uccello) e poi con Natan. Ho accompagnato Natan nella sua scuola materna portandomi una videocamera, perché volevo conoscere la sua personalità e abituarlo alla presenza dell’obiettivo, perché si sentisse a suo agio. Lavorare con Jorge è stato diverso. Era ben consapevole della sua immagine, e anche dopo una settimana di riprese dovevo continuare a dirgli che non aveva bisogno di giocare. Così l’ho messo a lavorare e i momenti migliori sono proprio quelli in cui si focalizza su un compito. Ogni volta che aveva un'attività che non richiedeva parole e doveva concentrarsi su un compito, riusciva ad essere naturale.

Matraca, il vecchio pescatore, è davvero il padre di Jorge e il nonno di Natan?
Non c'è parentela tra di loro. Un mio amico biologo, Kim Ley Cooper di Razonatura, continuava a parlarmi di un posto dove la gente viveva in case su palafitte. Quando finalmente ho avuto modo di andare a vederle (è molto difficile ottenere un visto turistico, ma con lui ho avuto la possibilità di andarci), ne sono stato conquistato. Vedendo queste case, ho sentito di aver trovato il posto per il mio film e ho chiesto quale palafitta potessi utilizzare. Uno dei capi della comunità mi ha detto, "Il pescatore che vive in una di queste case è mio amico." Ho incontrato Matraca. Mi ha detto di sì e il suo sorriso è stato meraviglioso. Non ero venuto per un casting, ma ho capito subito che era lui. Per me è stata la scoperta della semplicità dell’essere felici. Bere un caffè, guardare le stelle. È per questo che la canzone all'inizio del film dice: "Non abbiate fretta di arrivare qui". A poco a poco, tutto ciò lavorava sul mio inconscio. Ho voluto portare allo spettatore il ritmo del mare, la vita dei pescatori, portarlo a rilassarsi completamente, come dopo un massaggio.

La zona di pesca è realmente abitata dai pescatori, o vi si incontrano solo specie animali?
Banco Chinchorro si trova a una trentina di chilometri dalla costa. Il paese più vicino si chiama Mahaual, tra la barriera corallina e Chetumal, che è appena a nord del Belize. Da Mahaual, ci vogliono due ore in barca per raggiungere la barriera corallina, con queste palafitte. Questa zona scarsamente popolata è l'ideale per osservare dei personaggi e veder crescere la loro relazione. Siamo andati due volte in questo posto e la seconda volta è arrivato un uccello, una garzetta. Jorge ha un sacco di conoscenze di ornitologia. È anche molto attratto dal misticismo. Se si combina questa passione scientifica con il misticismo, ecco che una persona può instaurare un legame molto forte con una garzetta. Quando la garzetta è tornato per la seconda volta, è parso un miracolo. Se fossi arrivato lì con una sceneggiatura definita, non avrei mai guardato quell’uccello. Ma in questo modo ho prestato attenzione a ogni piccolo segno che la natura mi mandava. Quando l’uccello se n’è andato, ho pensato che era perfetto. Era perfetto andare a cercare Blanquita, senza peraltro trovarla. Sapevo che non l’avremmo più rivista, ma Natan non lo sapeva. Ho detto a Natan: “Andiamo a crecare Blanquita!” E lui ha creduto che fosse possibile.

Perché hai deciso di aprire il film con delle foto di famiglia in bianco e nero con un piccolo filmato amatoriale?
Sono le loro foto, i loro video. È per questo che ho cambiato l'inizio originale del film. Inizialmente, avevamo girato una scena molto bella con Roberta e Jorge. Iniziava con un addio tra il padre e la madre. Sfortunatamente, non funzionava per introdurre i personaggi con efficacia. Avevo proprio bisogno di qualcosa di più breve e reale per portare lo spettatore dentro l’intimità della loro vita.

La decisione di girare in digitale è stata dettata da ragioni economiche?
No, non potevo immaginare di girare con una grossa troupe attorno. Avevo bisogno di intimità, nella stessa linea dei miei documentari: volevo filmare io stesso con soltanto un tecnico del suono, Manuel, e un operatore per le riprese sottomarine. È stata una sfida girare così e con un budget così piccolo, ma era inevitabile.

Pedro González-Rubio

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